TOSCANA – Se le condizioni del mare non cambieranno, arriverà domani sera al porto di Livorno la nave “Open Arms” con il suo carico di migranti occorsi sabato scorso nel Canale di Sicilia. A bordo, come già comunicato dalla ong spagnola, ci sono 117 migranti: “Tra questi, 25 donne, tra cui 8 minorenni e una mamma con il suo piccolo di 3 anni; in totale i minori non accompagnati sono 31, anche di 13/14 anni” racconta stamani a Novaradio la presidente di Open Arms Italia, Veronica Alfonsi. Le operazioni di soccorso sono avvenute mentre i migranti si trovava in difficoltà in mezzo al mare, che per fortuna era calmo. Molti migranti si trovavano “ad un livello inferiore”, cosa particolarmente pericolosa in caso di mare agitato e quindi rischio di ribaltamento. Quella su cui si trovavano a bordo le 117 persone soccorse infatti, aggiunge Alfonsi, era “una piccola barca di legno che ne poteva contenere al massimo una decina”, “che nessuna capitaneria di porto italiana avrebbe fatto uscire in mare”
Le condizioni di salute sono in generale abbastanza buone. “Non abbiamo criticità tali da dover chiedere un’evacuazione sanitaria – riferisce Alfonsi – ma abbiamo un ragazzo con la febbre molto alta che ha richiesto l’utilizzo di antibiotici e moltissimi casi di scabbia, una malattia molto comune ma che va trattata immediatamente perché contagiosa”. E invece i migranti per ricevere cura adeguate a terra dovranno aspettare, a causa della lontananza di Livorno, assegnato come “porto sicuro” dal Ministero dell’Interno, dal luogo del salvataggio: “Eravamo a 230 miglia circa dai porti siciliani, mentre quello di Livorno è a 650 miglia, cioè quattro giorni di navigazione, e non è detto che le condizioni meteo marine siano buone”. “E’ la prima volta che ci viene assegnato Livorno come ‘porto sicuro’, così lontano non era mai successo” sottolinea la presidente di Open Arms Italia: “Un’ulteriore sofferenza per le persone a bordo, che dormono all’aperto sul legno del ponte della nave, per loro è una sofferenza ulteriore. E c’è un ulteriore problema: se la nostra nave è costretta a viaggiare quattro giorni, quel tratto di mare rimane scoperto, e le persone in pericolo sono tantissime”.
Una dimostrazione concreta sta nel racconto di quanto avvenuto nelle ore immediatamente successive al salvataggio di sabato. “In viaggio verso Livorno – riferisce Alfonsi – abbiamo incontrato tre imbarcazioni precarie di legno, ci siamo fermati, abbiamo distribuito i giubbotti salvagente, allertato la Guardia Costiera e atteso che le motovedette arrivassero”. Questo perché dato che il regolamento Piantedosi vieta alle navi ONG in viaggio verso terra i “salvataggi multipli”.
E le nostre forze di sicurezza in mare come operano? “Quello che abbiamo registrato in questi anni fino alla tragedia di Cutro – dice Alfonsi – è stata un’assenza totale dei soccorsi anche della Guardia Costiera, siamo rimasti in mare senza nessun coordinamento, attendendo per giorni le indicazioni sul porto di sbarco. Dopo Cutro, il porto di sbarco vien assegnato subito ma molto molta o e la Guardia Costiera ha ricominciato a soccorrere”.
Riguardo alla gestione dei soccorsi ai “barchini” dei migranti,il giudizio di Alfonsi è profondamente critico, non solo verso l’attuale governo e la “dottrina Piantedosi, ma anche quelli passati. “A noi sembra un tentativo di allontanare le nave umanitarie da tratto di mare, un po’ nel solco di quanto avvenuto negli anni passati. Il problema vero è che, al di la del fatto che soccorriamo le persone in mare, però siamo anche grado di denunciare quello che succede: continue omissioni di soccorso, respingimenti da parte della cosiddetta Guardia costiera libica, violazioni dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. E è questo che infastidisce le autorità europee”.