FIRENZE – Isolamento, alienazione, legami troppo virtuali, intensificazione del lavoro. È quanto emerge dalla ricerca ‘Due anni di smart working. L’esperienza delle donne in Toscana’, curata da Sandra Burchi per Ires Toscana e presentata alla sede fiorentina della Cgil, alla presenza della segretaria generale della Cgil Toscana Dalida Angelini: la ricerca è stata fatta in due parti, tra luglio e ottobre 2020 (60 donne coinvolte) e tra dicembre 2021 e marzo 2022 con le interviste di follow up alle partecipanti ai focus group della prima parte.
Tra i rischi, è stato spiegato, sono da dividere due settori, quello del lavoro e a casa: sul lavoro si registra una “minore socialità, minore cooperazione, minore capacità nei processi organizzativi”, il fenomeno della “fatica da zoom”, ovvero di essere sempre connessi nella piattaforma necessaria per le call. Nella ricerca si evidenzia anche “l’incremento dei dispositivi di controllo e la difficoltà nel rispetto e definizione dei tempi reali di lavoro”.
A casa c’è il rischio “di una conciliazione semplificata, dal lavoro di cura alla cura del lavoro”. La Cgil mette in luce anche alcune opportunità dallo smart working come “facilitare l’adozione di orari e modelli di lavoro individualizzati che includono il concetto di fasce orarie, raggiungimento degli obiettivi e riduzione degli spostamenti”.
“Lo smart working si può fare ma non deve servire per annullare le postazioni lavorative – ha detto Angelini -. Lo smart working poi deve essere contrattualizzato e va disciplinato un orario di lavoro, altrimenti non si stacca mai. C’è poi il tema della sicurezza: all’interno delle abitazioni non tutti sono in grado di avere lo spazio giusto per lavorare, dipende anche dalla situazione familiare in cui sei, ad esempio se hai figli. Come sindacato non ci opponiamo ai cambiamenti però questi vanno governati e contrattati. Secondo noi non è possibile essere sempre in smart working: ci dovrebbe essere una formula ibrida e questa deve essere su base volontaria, non obbligatoria”.