PISA – Il 17 novembre del 1494 moriva a Firenze, in circostanze misteriose e a soli 32 anni, il grande umanista e filosofo Pico della Mirandola, famoso per la proverbiale memoria.
A più di 500 anni di distanza, lo studio dei suoi resti conservati in un chiostro vicino alla basilica fiorentina di San Marco ha rivelato che il decesso fu provocato non da sifilide ma da un avvelenamento da arsenico. La ricerca, pubblicata sul Journal of Forensic and Legal Medicine, è stata condotta da un team di ricercatori delle università di Pisa, Bologna, del Salento, di Valencia (Spagna), di York (Gran Bretagna), dal Max Planck Institute (Germania) nonché dagli esperti del RIS di Parma.
“Gli esami eseguiti hanno dimostrato che nei resti di Pico erano presenti segni riconducibili ad intossicazione da arsenico e che i livelli del veleno erano potenzialmente letali, compatibili con la morte per avvelenamento acuto del filosofo – ha spiegato Fulvio Bartoli del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano – Ovviamente, che si sia trattato di avvelenamento intenzionale è difficile da dimostrare anche se questa ipotesi è sostenuta da varie fonti documentarie e storiche”. La sepoltura di Pico della Mirandola – fra cui ossa, unghie, tessuti molli mummificati, vestiti, legno della cassa – è stata sottoposta ad una serie di analisi di carattere biologico e chimico-fisico sia per confermare l’identificazione dei resti sia per rilevare la presenza delle tracce di arsenico.