FIRENZE – Al telefono alcuni imprenditori del settore della concia tra Firenze e Pisa e parlavano di “pelli, vitellini e sego”, ma in realtà intendevano prestiti di centinaia di migliaia di euro da parte dei clan ‘ndranghetisti che servivano per creare fondi neri da destinare alla loro attività economica.
Svelano un nuovo capitolo dell’infiltrazione delle ‘ndrine nel tessuto economico toscano, le due operazioni parallele della Direzione Antimafia, “Martingala” e “Vello d’oro”, condotte dalle procure distrettuale di Reggio Calabria e Firenze: quello della ‘ndrangheta come società di servizi finanziari per le imprese disoneste. L’inchiesta toscana, in particolare, ha portato ad indagare 18 persone, per 14 delle quali sono stati emessi provvedimenti cautelari (11 in carcere, 3 domiciliari), e al sequestro di 12 società, di cui 7 all’estero, e beni per milioni di euro.
Da una parte c’erano ingenti flussi di denaro dei clan calabresi – i Nigro-Barbaro, i Nirta-Starngiu e i Pieromalli, ossia il gotha della ndrangheta mondiale – interessati a riciclare i frutti del narcotraffico, dall’altra due imprese direttamente controllate dalla ‘ndrangheta (la Marapel e la Unipel), ma anche di imprenditori disonesti del comparto conciario di santa Croce sull’Arno che usavano i soldi dati a prestito dalla ndrangheta per costituirsi un “tesoretto” da utilizzare per ampliare la loro attività.
I soldi prestati, anche 100 mila euro per volta, venivano pagati dalle imprese con tassi usurari – circa il 9% – ma il guadagno era per entrambi, dato che le imprese recuperavano gli interessi con il sistema messo in piedi dai clan, fatto di false fatturazioni di società cartiere all’estero, dalla Romania al Regno Unito passando per Slovenia e Croazia. Figuravano come false compravendite di pellami, che permettevano di abbattere ricavi e quindi le tasse per le imprese, ma anche di risparmiare tramite il mancato pagamento dei contributi sugli straordinari ai lavoratori.
“E’ una ndrangheta ormai globalizzata – ha commentato il procuratore nazionale antimafia Francesco Cafiero de Raho, presentando i risultati dell’operazione a Firenze, assieme al procuratore capo fiorentino Giuseppe Creazzo – che si infiltra nell’economia, e la inquina profondamente. >>> Ascolta
Figura centrale del sistema criminale in Calabria era Antonio Scimone, mentre il referente sul territorio da cui è partita l’indagine è Cosma Damiano Stellitano, calabrese di origine da anni residente a Vinci. L’inchiesta nasce proprio da uno dei “prestiti”:: 30mila euro chiesti da un imprenditore toscano al referente ndranghetista, e restituiti il giorno dopo con una maggiorazione del 17%. Per convincerlo a pagare, gli uomini dei clan avevano tenuto di fatto un amico dell’uomo “in ostaggio” per una intera giornata.
“Nonostante l’accusa di usura – ha spiegato Carmine Rosciano, comandante del reparto operativo del carabinieri di Firenze – quel che emerge è che i denari non servivano alle imprese a far fronte a situazioni di emergenza o difficoltà, ma risorse per ampliare il loro giro d’affari” e quindi di fare concorrenza sleale alle imprese in regola. >>> Ascolta
Un sistema in cui guadagnavano tutti, tranne che i cittadini: di tasse evase, si stima che siano stati sottratti al fisco 600 mila euro, per un riciclaggio che solo per i fatti accertati si aggira attorno ai 3-4 milioni di euro. Il giro di affari diventa ultra milionario se si aggiungono il valore di tutte le componenti del “sistema”, tra cui le numerose società cartiere create – e talvolta cancellate dopo poco – ad hoc.