Eccoci qua, finalmente il giorno è arrivato e Novaradio mi spedisce al primo giorno del festival “Firenze Rocks” dove, a partire dal pomeriggio, Soviet Soviet, Jack Lukeman e Deaf Havana scaldano il pubblico in attesa del clou della serata: i Placebo e gli Aerosmith, al loro ultimo tour mondiale.
Ma iniziamo da capo.
Intorno all’ippodromo del Visarno, forze dell’ordine e addetti alla sicurezza vegliano affinché tutto proceda per il meglio, ritiro il mio accredito e mi dirigo all’ingresso stabilito per il mio tagliando: una volta dentro respiro subito un’atmosfera da grande festival rock, cosa che a Firenze mancava da tanto, oppure – a memoria – non c’è mai stata.
Scopro la novità dei token, i famigerati gettoni che tante polemiche – e non a torto – hanno suscitato: sembra di essere tornati indietro con gli anni, quando nel 1997 alcuni comuni dell’area metropolitana, fra cui Fiesole e Pontassieve, fecero le prove con l’euro in arrivo, introducendo una forma di pagamento e coniando una moneta per far abituare le persone al cambio. In quel caso, fortunatamente, l’esperimento non ebbe successo, però qui nell’arena, se vuoi bere, te la devi far andare. Vado al bar, mi rifornisco di acqua, birra e macedonia, e mi posiziono con le spalle al sole in attesa che inizino i Placebo.
Alle 18:55, addirittura con qualche minuto di anticipo rispetto a quanto segnalato dagli orari ufficiali, iniziano la loro performance con Pure Morning, allungandone l’intro e creando una bella atmosfera; da lì si capisce subito che i ragazzi ci sono, sono cresciuti e vogliono dimostrare nella loro ora a disposizione che ora sono una vera band. Senza un attimo di tregua si passa a Loud Like Love. Il sole in faccia e loro lì sul pezzo a pestare; Brain Molko è tranquillo e determinato e, devo dire, emozionato perché in quel momento l’arena è gremita con oltre 30.000 persone. Dopo un cambio di chitarre, ringraziamenti e saluti di rito, si prosegue e si arriva a Special Needs, accompagnata dal video che scorre alle loro spalle, seguita dall’attacco di Too Many Friends, eseguito da Fiona Brice al violino elettrico, momento emozionante, malgrado suonare col sole non è che crei quella giusta atmosfera. Si prosegue imperterriti fino alla fine del set, dove si rincorrono i brani più famosi del repertorio della band: Special K, Song To Say Goodbye, The Bitter End, Nancy Boy, Infra-red, ci portano alla bellissima cover di Kate Bush Runnin Up The Hill, con cui dopo un’ora e dieci minuti di concerto, si congedano, apparentemente felici e soddisfatti, dal pubblico che li ha sostenuti e applauditi.
E io mi chiedo se si domanderanno quanto tempo hanno buttato via nei loro 20 anni di carriera fra cazzate ed eccessi: ora che hanno deciso di darsi una calmata, stanno dimostrando anche agli scettici di essere una grande band e che forse avrebbero potuto raccogliere di più.
Durante il cambio palco in attesa degli headliner Aerosmith, faccio la conoscenza di una coppia di Roma, Francesca e Alessandro, con cui mi intrattengo a parlare di musica e di cose viste e che vorremmo vedere.
Il tempo passa veloce ed eccoli: un video che ripercorre i loro 47 anni di carriera, sulle note di O Fortuna dei Carmina Burana (e qui si parte malino: ora che loro mi mettano i Carmina Burana come sigla, quando qualsiasi dj l’ha messa… banalotti… ) introduce Let The Music Do The Talking, brano che apre il concerto, e che non si vede o, per meglio dire, si vede dal cellulare di quello che hai davanti. Ora purtroppo c’è questa moda: ammetto che due o tre foto le faccio anch’io, ma non sto con le braccia alzate tutto il tempo! La seguente Young Lust conferma la buona partenza, ma è la terza canzone a far esplodere l’arena: con Rag Doll la band di Boston alza il tiro e il pubblico risponde alla grande. La scaletta scorre con Oh Well, tributo ai Fleetwood Mac, che ci conduce al giro/assolo di basso intro di Sweet Emotion (e lì mi è venuto alla mente il dialogo fra John Travolta e Steven Tyler, sulla genesi di quella canzone, contenuto in “Be Cool”; grande film quello, ma non divaghiamo e proseguiamo… ) seguita dall’attesa I Don’t Want To Miss A Thing che illumina l’arena; una volta sarebbero stati accesi gli accendini, ora sono i telefonini a fare atmosfera con i 40.000 del Visarno che cantano la ballata resa famosa da un amaro. La seguente The Toxic Twins ci dimostra che ancora gli Aerosmith sul palco ci sanno stare e bene. Molti giovani rockers, ma anche meno giovani, dovrebbero guardare qualche loro video e imparare che palco e pubblico vanno rispettati, senza atteggiamenti eccessivi (mascherati da personalità) . Tecnicamente non ho trovato impeccabile il batterista Joey Kramer, che in alcuni momenti non è stato perfetto, però vi posso garantire che ad una certa età – 67 anni per la precisione – si fa un po’ fatica dietro pelli e piatti ed è col mestiere e qualche trucchetto che si rimedia… vai Joey, sei perdonato!
Cryin e Dude ci portano al termine della prima parte del concerto: i nostri torneranno sul palco per i bis, con le tanto attese Dream On e Walk This Way che strizza l’occhio a Mather Popcorn di James Brown.
Potremmo adesso dire che Dream On non è stata cantata al meglio, che Walk This Way così eseguita ce la potevano risparmiare, che avrebbero potuto suonare di più, che il volume poteva essere più alto, che la regia delle immagini riprodotte nei videowall non è stata impeccabile. Ma abbiamo potuto assistere all’ultimo concerto di una band di ragazzi che ancora sanno stare con rispetto sul palco e che si divertono ancora a far divertire… e che, forse, per qualcuno di loro che 47 anni fa iniziava questa avventura, è giunto il momento di fermarsi e per rispetto tutti si fermeranno. Quindi non possiamo far altro che ringraziarli per le belle canzoni che in tutti questi anni ci anno regalato e che a tanti di noi hanno fatto da colonna sonora nel corso della vita.
AnziGuido,
La mezzaluna nel cassetto