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Il Cielo e la Stanza #08 - Carcere, il racconto dal "di dentro" al festival NOVA! di Novaradio Redazione Novaradio
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È stato il carcere – il sistema carcerario italiano con i suoi annosi problemi, le condizioni di vita spesso inumane, le “aree grigie” di illegalità e abusi, ma anche una diversa idea di immaginare e raccontare il carcere – oltre l’approccio repressivo e il modello detentivo – fatta di impegno impegno e lavoro, costante e spesso difficile, delle associazioni del volontariato. È stato questo il filo conduttore dell’intero programma dei talk che hanno animato “Nova!” il Festival di Novaradio, che si è svolto sabato scorso al brillante nuovo teatro Lippi di Firenze.
Una lunga giornata di interventi dibattiti che ha visto la partecipazione di Ornella Favero, presidente della storica associazione Ristretti Orizzonti di Padova e coordinatrice della conferenza Nazionale volontariato e Giustizia, che ha parlato dell’esperienza dell’associazione che dal 1997 si occupa di raccontare il carcere con la sua redazione di detenuti e volontari del carcere “Due Palazzi”, ma anche di sensibilizzare le scuole e la società civile sui temi dell’applicazione di misure alternative, sull’umanizzazione delle pene, sul diritto all’affettività in carcere, il rapper “Kento” (all’anagrafe Francesco Carlo), da anni impegnato in laboratori musicali e non solo nelle carceri minorili, ha parlato in particolare delle condizione dei minori reclusi in Italia e degli effetti del decreto Caivano; il giornalista Luigi Mastrodonato, autore del podcast d’inchiesta “Tredici” dedicato alle morti sospette dopo le rivolte nel carcere di Modena del 2020, ha parlato di questa triste e misconosciuta pagina della nostra recente storia.
Luigi Mastrodonato, giornalista d’inchiesta classe 1990, con il suo podcast “Tredici” ha raccontato della vicenda delle morti non chiarite di alcune detenuti del carcere di Modena dopo le rivolte del marzo 2020: molte di quelle morti sono state archiviate, su altre le indagini sono ancora aperte, e c’è anche un’indagine che ipotizza abusi e torture a carico degli agenti penitenziari (scollegata dalle morti), mentre l’unico processo aperto è quello a carico dei detenuti che hanno partecipato alle proteste. “l lavoro di giornalismo di inchiesta sui temi carcerari è molto difficile ma soprattutto tra le nuove generazioni c’è maggiore attenzione a questo tema. Quello che dobbiamo fare è anche cambiare il nostro modo di intendere e raccontare il carcere”.
La riflessione di Francesco Carlo, rapper noto con il nome d’arte “Kento” è partita dalla condizione delle carcere minorili – in cui da anni è impegnato in laboratorio e progetti che coinvolgono i giovani detenuti – in particolare dagli effetti del decreto Caivano che ha portato ad un aumento del 43% dei reclusi minori. “Nonostante il decreto Caivano, dei 17 mila ragazzi colpiti da provvedimento di esecuzione penale, i reclusi sono circa 600 ragazzi: a finire dentro inoltre non sono gli autori dei crimini più efferati, ma sono gli ultimi: quelli che non hanno una casa una famiglia cui essere affidati o una rete di protezione sociale. La mia speranza ha aggiunto è che un giorno potremo parlare delle Carceri minorili in prospettiva storica come di qualcosa che non esiste più così come facciamo ora per i manicomi i matrimoni riparatori o il divieto per le donne di essere magistrati : ridicolo, grottesco, incivile”.
Ornella Favero, presidente di Ristretti di orizzonti e coordinatrice della conferenza Nazionale volontariato e Giustizia ha parlato a lungo delle attività dell’associazione attiva dal 1997 con una redazione composta da circa 30 detenuti della Casa di reclusione “Due Palazzi” affiancati da un gruppo di volontari, che si occupa di informazione, comunicazione e inchieste sul mondo carcere, ma anche sensibilizzazione e promozione dei modelli alternativi alla detenzione attraverso incontri, convegni, coinvolgimento diretto delle scuole e della società civile in carcere. “È dura – ammette – soprattutto in un Paese come l’Italia in cui le carceri sono esse stesse luoghi di illegalità diffusa, e in un clima politico e culturale in cui prevale la propensione alla detenzione alle inasprimento delle pene e alla criminalizzazione”, ma ha anche rivendicato il ruolo del volontariato e la sua necessità di essere autonomo: “Bisogna osare di più. Il volontariato non deve sentirsi ospite dell’istituzione carceraria, la società civile deve entrare in carcere e occuparsi della opera di rieducazione. Ed è quello che stiamo facendo da 27 anni a questa parte”.