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TOSCANA – Era il 2017 quando in Italia hanno definitivamente chiuso gli Ospedali psichiatrici giudiziari, sostituiti dalle REMS (Residenze per l’esecuzione della misura sanitaria): strutture destinate ad autori di reato non imputabili con natura sanitaria, in cui il fine è la cura e il reinserimento sociale. La legge che prevede la loro abolizione in realtà risale al 2012 ma l’applicazione della riforma è andata molto a rilento, tra rinvii e ritardi. In Toscana da 2015 è attiva la Rems di Volterra (30 posti), cui dal 2020 si è aggiunta quella di Empoli (9 posti, da un anno ampliata a 30 posti). Rimangono diverse criticità, a partire dai numeri limitati delle strutture, i meccanismi di entrata e uscita.
Il dato più appariscente liste d’attesa: nel 2023 erano ben 90 pazienti in attesa di essere trasferiti nelle REMS toscane. Ma non è un problema di scarsità di posti, quanto più di ricorso “inappropriato” alla Rems: “I magistrati ricorrono alla Rems nei casi più complicati ma anche per persone di cui non riescono a valutare con esattezza il quadro clinico e la pericolosità sociale – dice Emilio Santoro, vicepresidente associazione Altrodiritto – e così elle Rems ci va chi non ne avrebbe titolo, e chi dovrebbe andarci invece rimane in carcere”. Per rendere più facile la valutazione clinica da parte dei giudici la riforma prevede il PUR (Punto unico regionale): in Toscana però è attivo solo dal 2024.
“C’è un collo di bottiglia sia in ingresso che in uscita” ammette Simone Giovannini, psichiatra presso la “struttura intermedia” Villa Guicciardini (Firenze), che spiega: “Quello che manca sono le strutture intermedie”. Eppure quelle che ci sono in Toscana (cinque per un totale di 59 posti) sembrano funzionare bene. A Villa Guicciardini – spiega ancora Giovannini – al termine del periodo di cura il 90% dei pazienti è stato indirizzato verso altri percorsi meno costrittivi o ammessi alla libertà vigilata”.