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FIRENZE – La Corte Costituzionale dovrà pronunciarsi (per la seconda volta) sulla legittimità costituzionale delle norme che impediscono il pieno riconoscimento della doppia genitorialità per i figli nati da coppie omogenitoriali. Nei giorni scorsi infatti il Tribunale di Lucca ha sollevato una nuova questione di costituzionalità per il riconoscimento dei figli a una coppia omosessuale, rifacendosi al “monito della Corte costituzionale” che nel gennaio 2021 aveva invitato il Parlamento a intervenire sul tema ritenendo “non più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa”. Il tribunale ha sospeso il giudizio e trasmesso gli atti alla Consulta perché si pronunci sulla legittimità costituzionale degli art. 8 e 9 della legge 40/2004 e dell’art. 250 codice civile laddove “impediscono l’attribuzione al nato dello status di figlio anche alla madre intenzionale” non solo a quella biologica.
La causa riguarda il riconoscimento della “bigenitorialità piena” da parte di due donne su un figlio nato con procreazione medicalmente assistita. Il figlio è stato registrato all’anagrafe del Comune di Camaiore con doppio cognome in quanto non in contrasto “con l’ordine pubblico e con le norme vigenti”, ma l’atto è stato impugnato dalla Procura di Lucca per chiedere la ‘rettificazione’ dell’atto di nascita del minore.
La questione, a giudizio del Tribunale, “risente di rilevanti lacune normative” ed in altri casi simili la questione “è stata risolta diversamente in giurisprudenza, registrandosi un orientamento maggioritario contrario ed un orientamento minoritario favorevole al riconoscimento della cosiddetta maternità intenzionale”. Anche ricordando l’analoga questione di legittimità sollevata dal tribunale di Padova nel 2019, il collegio di Lucca dunque “reputa necessario rimettere nuovamente alla Corte la questione, volendo porre l’attenzione sul disomogeneo intervento dei sindaci come ufficiali di stato civile”, i quali “hanno adottato, nel silenzio del legislatore, soluzioni distinte per casi speculari”: “in alcuni casi hanno rifiutato l’iscrizione anagrafica anche della madre intenzionale nell’atto di nascita”, “in altri hanno ritenuto legittima l’iscrizione”. Dunque “esiti non uniformi”, commenta l’ordinanza, che “danno conto di un’evoluzione del tessuto sociale a cui, nella perdurante inerzia legislativa, non è stata data compiuta risposta”.
“L’importanza della decisione – sottolinea Matteo Mammini, avvocato delle Rete Lenford parlando stamani a Novaradio – sta nel fatto che dopo 3 anni un giudice abbia risollevato la questione di costituzionalità, e già nel 2021 la Corte si era pronunciata su un caso simile di ‘co-mamma’, invitando a colmare una lacuna. Questo dà la possibilità alla Consulta di ripronunciarsi e molto probabilmente solleciterà nuovamente il Parlamento a colmare questa lacuna. Ricordiamo che questi bambini che già hanno contezza di chi sono i genitori, già riconosciuti all’estero: devono solo esserlo in Italia”.