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FIRENZE – Nonostante le dichiarazioni ufficiali diano per morta la trattativa di pace tra Hamas e Israele, e che nelle ultime ore ulteriori elementi di tensione si siano aggiunti – dal nuovo lancio di missili verso la Siria all’azione di Israele a Zeitun nella Striscia – una pace, o almeno una situazione di non conflitto tra Hamas e Israele è possibile in tempi brevi. Ne è convinta Francesca Borri, giornalista che da 17 anni risiede a Ramallah e racconta le vicende della Palestina e del conflitto mediorientale per il quotidiano israeliano Yadot Ahronot e per il “Venerdì” di Repubblica – l’unica giornalista occidentale ad aver intervistato il capo militare di Hamas Yahya Sinwar – che domani (ore 19,30) sarà presente al Circolo ARCI “L’Unione” di Ponte a Ema (via Chiantigiana 117) all’incontro “Racconti di guerra dal mondo in cui vivo”, organizzato da Equivalenze – Cantiere della diversità.
Al di là del livello ufficiale, spiega Borri a Novaradio, si deve guardare quel che nei documenti ufficiali non c’è scritto, al livello “nascosto” delle trattative, alle garanzie chieste dagli attori in campo e dal ruolo dei soggetti esterni, tra cui USA e Turchia. “Hamas ha avuto garanzia dagli Usa che la guerra finirà: non una pace forse ma una ‘calma’ di cui parlava anni fa anche Sinwar, e che Israele passerà a raid più brevi e mirati. Israele ha avuto la garanzia che Gaza avrà un’amministrazione internazionale, non i caschi blu ma un’amministrazione che sarà affidata alle agenzie Onu e Ong e che passerà il potere ai palestinesi. D’altra parte Hamas è allo stremo; quello su cui contava dopo il 7 ottobre – l’intervento di Hezbollah, dell’Iran, la rivolta nella West Bank – non si è verificato”. Come si spiega allora la crescente tensione? “Prima di arrivare alla tregua e recuperare un po di ostaggi, Netanjahu cerca di controllare il punto di ingresso da cui passano armi, perché se la tregua si firma adesso Hamas rimane al potere e con una capacità di accesso all’Egitto, che va tolta. E’ questioni di giorni, poi la tregua può essere firmata”.
Ma Sinwar e Netanjahu hanno interesse reale ad una pace? Secondo Borri sì: “Sinwar sa di essere un uomo morto, ma passerà comunque alla storia come eroe del popolo palestinese; e Netanjahu o passa alla storia come il premier del 7 ottobre, oppure come quello che ha trasformato una crisi nella migliore delle opportunità: l’allargamento degli Accordi di Abramo, che pure Hamas non voleva, coinvolgendo anche le organizzazioni politiche palestinesi, e anche il braccio politico di Hamas”. Il punto da risolvere, sottolinea però Borri è quello del “day after”: Chi governerà Gaza? Cosa su cui ancora in questi mesi nessuno si è impegnato a ragionare”. E avverte però che una soluzione non può prescindere anche da un cambio all’interno della ANP: “Non si avrà Gaza senza Hamas, finché si avrà la West Bank con Abu Mazen, che dal 7 ottobre non ha mai parlato ai Palestinesi: lì c’è un blocco di potere e di corruzione stellare”.