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FIRENZE – Venerdì 17 e sabato 18 gennaio alle 21.00 sarà in scena per la prima volta in Toscana al Teatro Cantiere Florida di Firenze (via Pisana 111 Rosso) “Dentro. Una storia vera, se volete”, lo spettacolo di e con Giuliana Musso, prodotto da La Corte Ospitale Musso, che riporta l’incontro con una donna e col suo segreto: un’abuso sulla figlia avvenuto in famiglia
“Una madre che scopre la peggiore delle realtà. Una figlia che la odia. Un padre innocente fino a prova contraria. E una platea di terapeuti, consulenti, educatori, medici, assistenti sociali, avvocati che non vogliono capire, non vogliono sentire, non vogliono vedere. Il segreto serve a silenziare una verità che potrebbe danneggiare degli innocenti. Al contrario, la censura danneggia gli innocenti tutelando vili interessi. Ma qui il vero protagonista è il tabù, ovvero il puro terrore di sapere, i cui intenti, al contrario di quelli del segreto e della censura, rimangono ambigui e indeterminati.”
“In tutte le vicende di abuso sui minori che ho conosciuto per voce delle vittime nessun colpevole è mai stato condannato”, dice Giuliana Musso. “La violenza sessuale è un segreto che permane tutta una vita dentro alle case, dentro agli studi dei medici, degli psicoterapeuti o degli avvocati, in quelle dimensioni private in cui le vittime possono restare confinate senza venire riconosciute. I fini compassionevoli del segreto quasi sempre si fondono con quelli vergognosi della censura e con quelli inconsci del tabù. L’esistenza stessa delle vittime, con la loro rabbia inavvicinabile o con il loro inconsolabile dolore, ci turba fino alle radici e così, pur di non maneggiare l’odio dei padri, deploriamo quello dei figli. Storia antica quanto il patriarcato: narrazioni che sono strategie di rimozione e occultamento, prime tra tutte la normalizzazione stessa dell’abuso e la colpevolizzazione della vittima. Persino le storie fondanti della civiltà occidentale sono tutte storie di traumi, eppure, mentre conosciamo tutto di Edipo, di Laio invece, il padre assassino, sappiamo ben poco. Da sempre, pur di salvare l’ordine dei padri, costruiamo impalcature concettuali che fanno perdere consistenza alla realtà dei traumi e alla voce dell’esperienza. E se la nostra esperienza di violenza non può essere riconosciuta allora viene minata alla radice la nostra dimensione ontologica, noi stessi forse smettiamo di esistere”.