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TOSCANA – Macché tariffe più basse per i servizi pubblici, maggior efficienza e aumento degli investimenti. Macché controllo pubblico e addio alla borsa. Se si va avanti avanti verso la multiutility nella direzione fin qui seguita, il destino è costruire una azienda multiservizi slegata dal controllo dei sindaci (e quindi dei cittadini), e una perfetta “macchina da utili” a vantaggio dei Comuni per ripianare i loro dissestati bilanci, e dei soci privati.
Le associazioni e i comitati riuniti nel Coordinamento No multiutility toscano smontano pezzo per pezzo la narrazione fin qui fatta dalla maggioranza dei sindaci della Toscana Centrale, soci di Alia, che al termine dell’assemblea dei soci di Alia la scorsa settimana hanno annunciato una “svolta” in tre punti: avanti con l’aggregazione delle società di acqua, energia e rifiuti in un’unica holding, estensione ad altri territori, e no alla quotazione in Borsa per finanziare l’azienda.
“Tutte le indicazioni dello Statuto e gli assetti societari delineati in passato sono stati confermati, e dell’addio alla quotazione in Borsa non c’è traccia” spiega a Novaradio Marco Cardone, del Comitato trasparenza per Empoli, componente del Coordinamento, che mette in luce un’altra contraddizione: “La conferma del percorso di integrazione dei servizi di energia, rifiuti e acqua non è conciliabile con l’indicazione dell’estensione territoriale, perché in base alla legge sui servizi pubblici non sarà possibile incorporare società ‘in house’ pubbliche, ad esempio, della zona di Pisa” (ma anche Massa e Lucca, ndr). “Quello che sta avvenendo – denuncia – è che Firenze, conPrato, Empoli e Pistoia stanno portando avanti un processo di forzata aggregazione che toglierà l’autonomia decisionale ai Comuni: già ora il nuovo soggetto non è più sottoposto al controllo dei soci pubblici, quando nascerà potrà essere condizionato, ma solo in negativo, da Firenze”. Ma l’elemento più preoccupante è l’effetto che avrà per i cittadini: “Sarà un soggetto che, perseguendo utili tramite tariffe su servizi pubblici essenziali, si tradurrà in una sorta di ‘flat tax’ a carico di tutti i cittadini, che però peserà soprattutto sui quelli meno abbienti” spiega Cardone.
Gli ingenti introiti infatti, oltre a remunerare lautamente i privati, servirà ai Comuni per ripianare i bilanci e garantire i servizi, ma non essendo ispirati a criteri progressivi, incideranno più sui più poveri. Ma, visto che i privati dentro le azienda ci stanno da decenni, esiste una alternativa praticabile? “C’è, e passa dal riacquisto delle quote dei privati” Già un gruppo di una dozzina di Comuni sono sulle posizioni dei comitati: “Continueremo la nostra battaglia per spiegare, anche ai sindaci, che la questione va rimessa in discussione e che va ridata la parola ai cittadini”.