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FIRENZE – Rimane esplosiva la situazione nel carcere fiorentino di Sollicciano, dopo che nei giorni scorsi un rissa tra due gruppi di albanesi ha mandato all’ospedale 12 agenti di polizia penitenziari, di cui 2 in gravi condizioni. “La situazione è drammatica, appare evidente che il carcere è ingovernabile” dice Emilio Santoro dell’associazione L’altrodiritto, segnalando come le voci che circolano da “radio carcere” raccontino di uno scontro tra bande per il controllo dello smercio di droga all’interno dell’Istituto penitenziario.
Oltre ai disordini, le prese di posizioni dei sindacati dei lavoratori del carcere e della stessa direttrice Antonella Tuoni confermano le condizioni di invivibilità, le deficienze strutturali e le carenze di personale. Le stesse che hanno portato poche settimane fa il giudice di sorveglianza ha concedere lo sconto di pena di oltre 300 giorni ad un detenuto come risarcimento delle condizioni “inumane e degradanti” in cui ha trascorso 8 anni di reclusione tra il 2014 e il 2022 a Sollicciano. Simili “condizioni inumane e degradanti” sono state riconosciute anche ad altri detenuti e riconosciute dall’amministrazione penitenziaria, che non ha opposto ricorso alle ordinanze di sconto pena. proprio questo ha indotto “L’altrodiritto” ad avviare una ricognizione collettiva tra i detenuti – si parla di 2/300 reclusi – per approntare, se non una “class action” (non praticabile in questa sede), una mole di ricorsi individuali tale da fare “massa critica”. E non più solo per ottenere uno sconto, ma puntare ad un obiettivo diverso e più significativo dal punto di vista giuridico: il riconoscimento di reato di tortura e quindi un’ordinanza che imponga il trasferimento dei detenuti dal carcere
“L’amministrazione poteva impugnare ordinanze, se non lo ha fatto è perché è consapevole che la situazione è drammatica. Se io non lo so e le condizioni si creano, quelle sono ‘condizioni inumane e degradanti’. Ma se io lo so e ci mando (a Sollicciano, ndr) le persone lo stesso, allora diventa tortura” spiega Santoro, che aggiunge: “La prima cosa da fare è non tanto la richiesta di riduzione della pena ma chiedere come provvedimento urgente e cautelare di essere sottratti a queste situazioni. Il fine, spiega ancora Santoro, è che la magistratura imponga all’amministrazione penitenziaria di non tenere recluse le persone che vivono in queste condizioni: tra i topi, le cimici, la muffa e l’acqua in cella. Il che produrrebbe una sorta di svuotamento del carcere per decreto, che renderebbe possibile anche la tanto invocata demolizione / riedificazione di Sollicciano: “Costringere l’amministrazione penitenziaria quello che la direttrice del carcere Tuoni diceva sulla possibilità di una ristrutturazione a grandi blocchi” e “ordinare all’amministrazione penitenziaria di prendere 2/300 detenuti del penale di Sollicciano, spostarli e rifare quella parte del carcere in modo che le condizioni di vita siano accettabili“. Possibile? Sì, in teoria secondo Santoro: “L’ordinamento penitenziario prevede anche che l’amministrazione non ottempera all’ordine, il magistrato possa nominare un commissario ad acta perché faccia le cose”.
A segnalare la drammaticità delle condizioni del carcere anche i dati 2022 della sofferenza psicologica e fenomeni autolesionistici: 49% di reclusi con patologie psicologiche (1.400 su 3.000), 4 suicidi (tutti a Sollicciano), 110 tentati (28 a Sollicciano) e 912 atti di autolesionismo. L’Ordine degli Psicologi della Toscana parla senza mezzi termini di “emergenza salute mentale”, con picchi proprio a Sollicciano e nel carcere livornese delle Sughere. I fattori aggravanti sono il sovraffollamento, la carenza di servizi, la presenza di un alto numero di detenuti in carcerazione preventiva (che mal sopportano le privazioni) e gli stranieri (per problemi di adattamento). Una sofferenza che coinvolge anche i lavoratori del carcere. “Gli psicologici della sanità pubblica in carcere e i liberi professionisti incaricati dall’amministrazione penitenziaria sono importantissime sentinelle del disagio, ma sono troppo pochi e insufficienti rispetto ai bisogni” dice Maria Antonietta Gulino, presidente dell’Ordine, che punta il dito anche sulle insufficienti risorse pubbliche: “Da febbraio agli psicologici esterni è stato riconosciuto l’equo compenso e quindi paghe più alte, ma dato che i fondi non sono stati aumentati, sono state ridotte le ore di servizio”.