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ROMA – “Le responsabilità giuridiche sono accertate, ma nessuno degli imputati sconterà un solo giorno di detenzione”. E’ l’amara affermazione afferma l’avvocato Tiziano Nicoletti, legale di parte civile dell’associazione “Il Mondo che vorrei”, dei familiari delle 32 vittime dell’esplosione del vagone cisterna carico di gpl all’interno della stazione di Viareggio, all’indomani della sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito un nuovo rinvio ai giudici d’Appello.
Ieri la Suprema Corte, pur rigettando i ricorsi di tutti gli imputati – tra l’allora capo del gruppo FS Mauro Moretti e l’ad di RFI Michele Mario Elia – e confermando nel merito le loro responsabilità per quanto riguarda i capi d’accusa (su tutti quello di disastro ferroviario), ha tuttavia stabilito il rinvio del processo alla Corte d’Appello di Firenze per la rideterminazione del “quantum” della pena alla luce del riconoscimento delle attenuanti generiche. Il compito è quindi stabilire di quanto dovrà essere ridotta la pena: “I giudici hanno una certa discrezionalità, che dovrà essere compresa tra un terzo e un nono della condanno di secondo grado” dice l’avvocato Nicoletti. Un tecnicismo che ha un effetto concreto: “Alla luce delle condanne di secondo grado, lo sconto di pena farà si che molti dei condannati potranno godere della sospensione condizionale della pena” dice il legale. Esattamente quel che è successo anche a chi ha potuto contare su altri benefici, come nel caso di Mauro Moretti, che è stato condannato a 7 anni e mezzo in appello e che, avendo compiuto 70 anni, non andrà in carcere per raggiunti limiti d’età.
Tra gli “alti papaveri”, l’unico destinato a “pagare” è l’allora ad di Trenitalia Vincenzo Soprano: condannato a 4 anni e mezzo, ieri si è costituito nel carcere di Rebibbia a Roma. “Non è da sistema giudiziario equo – ha commentato il suo difensore, l’avvocato Alberto Mittone – che una persone vada in carcere dopo 15 anni per una fattispecie colposa”.
Per i sette imputati per cui la pena deve essere ricalcolata, invece, cn il rinvio d’appello “ter” e quindi un nuovo processo, si apre un’ulteriore possibilità di ricorso (il terzo) in Cassazione e un ulteriore allungamento dei tempi: “Di almeno di un anno e mezzo, ma forse due” dice Nicoletti: “Da avvocato è il segno che qualcosa non funziona nel sistema della giustizia italiana”