TOSCANA – La Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna dei ministeri dell’Interno e della Difesa a riconoscere vittima del dovere Antonio Ballini, di Monte Argentario (Grosseto), morto nel 2014, all’età di 69 anni, per un mesotelioma pleurico dovuto all’amianto dopo aver svolto il servizio di leva in imbarcazioni della Marina Militare tra il 1965 e il 1967, occupato “sia in attività di manutenzione, che di conduzione, con diretta manipolazione di componenti contenenti amianto”. A dare la notizia è l’Osservatorio nazionale amianto: la decisione fa seguito alla sentenza di primo grado, ora confermata, della condanna dei due ministeri a risarcire con una somma di circa 400mila euro (comprensivi degli arretrati) la vedova del militare; escluso invece il figlio, perché all’pecoa della morte già autosufficiente: punto su cui l’ONA già annuncia ricorso in Cassazione.
“Una sentenza importante – spiega a Novaradio l’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto – perché è la prima sentenza che riguarda Guardia Costiera, settore in cui finora non c’erano state pronunce”. In base ad una stima INAIL del 2012 ben 3 milioni e mezzo di persone sono state esposte ai richi dell’amianto, ma la battaglia per l’affermazione delle conseguenze è però ancora lunga: “C’è un opposizione ferma dei datori di lavori: FS per l’amianto nei vagoni, Enel per l’amianto nelle coibentazioni, le acciaierie di Piombino, il Porto di Livorno , o la Solvay, per cui recentemente c’è stata la conferma della condanna in Cassazione. Tutti settori in cui datori di lavoro, multinazionali e anche lo Stato Italiano, vorrebbero negare ai diritti dei lavoratori”.
Tra i punti di rilievo della sentenza, si sottolinea da parte dell’Osservatorio, il fatto che “l’esposizione ad amianto di Ballini sia avvenuta in occasione dello svolgimento di attività di servizio”, e soprattutto l’importanza della prima esposizione durante la leva militare: “L’esposizione remota ha una valenza maggiore rispetto alle esposizioni successive” come scrive la Corte, ricordando un documento dell’Inail dell’8 novembre del 2012 dove viene affermato che “una volta che sia innescato il processo che irreversibilmente conduce alla manifestazione della malattia, ogni esposizione successiva non ha effetto; il tempo trascorso dall’esposizione assegna un peso maggiore alle esposizioni più remote”.