PALERMO -“Alla notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro non ho potuto fare a meno di pensare a Giovanni e Paolo, ma anche a Rocco Chinnici e Antonino Caponnetto, e ai colleghi caduti nella lotta alla mafia”. Così stamani ai microfoni di Novaradio Leonardo Guarnotta, ex magistrato della procura di Palermo e uno dei quattro componenti del “pool antimafia”, che assieme a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello, fu protagonista della stagione di contrasto a cosa nostra che portò al maxi-processo e alle prime condanne per i boss di mafia: “E’ stato assicurato alla giustizia l’ultimo padrino stragista” afferma Guarnotta – ma bisogna continuare ad indagare sul quel reticolo di connivenze che hanno permesso a Messina Denaro una così lunga e comoda latitanza”
Non è rimasto affatto sorpreso, l’ex magistrato, del fatto che Messina Denaro sia stato catturato in Sicilia, e che si nascondesse a pochi chilometri dal suo paese natale: “L’esperienza ci insegna che i boss preferiscono rimanere nel territorio di origine, dove hanno il massimo controllo”.
E sulle circostanze dell’arresto, mischiato tra la folla di pazienti di una notissima clinica palermitana, non si mostra stupito del fatto che godesse di coperture e fiancheggiatori: “Quello che preoccupa – aggiunge – è che a Palermo negli ultimi tempi si sta verificando un fenomeno pericoloso: persone che tendono ad avvicinarsi ad altre persone a loro volta vicine ad ambienti mafiosi. E ne abbiamo avuto la dimostrazione nelle ultime elezioni comunali a Palermo, in cui hanno dato le carte e si i sono impegnati in campagna elettorale, due figure di condannati per mafia, Totò Cuffaro e Marcello Dell’Utri, che hanno formato una nuova classe politica molto vicina quella di una volta, che ha consentito l’elezione del nuovo sindaco di Palremo. E per questo bisogna rinnovare gli sforzi, indagare su quella rete di connivenze di cui la mafia gode nella borghesia palermitana e siciliana. Ne va del futuro della Sicilia e dei nostri giovani”.
E ora cosa potrebbe succedere? Il boss malato potrebbe collaborare per evitare il 41bis? “Potrebbe parlare, e le sue – ne è convinto l’ex magistrato – sarebbero delle rivelazioni” in grado di poter “finalmente scoperchiare quel vaso di pandora che nasconde dei segreti inconfessabili che, se conosciuti, potrebbero minare alle basi le nostre che potrebbe minare alle basi le nostre isttuzioni”. Anche sul cosiddetto terzo livello, dei mandanti politici? “A quello non credeva nemmeno Falcone – dice Guarnotta – la mafia non prende ordini dalla politica, semmai il contrario”. Infine, sugli scenari che si aprono ora per Cosa Nostra, conclude: “Difficile che Messina Denaro non abbia preparato un piano successione: un erede designato c’è”.