FIRENZE – E’ caos agli Uffizi per il blocco da parte del ministero della Cultura dei contratti siglati per lo sfruttamento digitale (Nft) delle opere del Museo. Lo riporta oggi La Repubblica, citando un’inchiesta de Le Iene in onda stasera su Italia 1. Secondo quanto riportato dal quotidiano, l’allarme suscitato per la possibilità di perdere “la gestione, il controllo e lo sfruttamento” delle immagini digitali di alcune delle opere più importanti del nostro Paese, avrebbe portato già nei mesi scorsi il direttore generale dei Musei, Massimo Osanna, a firmare una circolare che ha bloccato d’urgenza i contratti con la società milanese Cinello che si occupa degli Nft (riproduzioni digitali perette delle opere) e oggi a decidere di non rinnovare quelli già siglati.
L’accordo con gli Uffizi era stato firmato per 40 opere tra le più famose, per le quali vengono stabiliti prezzi e numero di copie massimo da mettere sul mercato (da acquistare o noleggiare). Il primo a essere venduto è il Tondo Doni di Michelangelo, come annunciato un anno fa, per 240mila euro. E da lì i primi dubbi del ministero che avrebbero portato al blocco dei contratti di oggi.
A stretto giro la replica delle Gallerie degli Uffizi: “I diritti non vengono in alcuna maniera alienati, il contraente non ha alcuna facoltà di impiegare le immagini concesse per mostre o altri utilizzi non autorizzati, e il patrimonio rimane fermamente nelle mani della Repubblica Italiana”. “Il legislatore – si precisa – ha dato delle risposte puntuali e precise” “già molto prima dell’invenzione (nel 2014) della specifica tecnologia di certificazione in questione, ovvero nella legge Ronchey del 1994, e ancora nel codice Urbani del 2004, oggi in vigore”. Si spiega poi che nel contratto con Cinello – accordo “trasmesso alla Direzione generale competente a Roma nel 2017, come di prassi” senza aver “suscitato alcun commento o rilievo” – “è richiamata in modo esplicito la non esclusività della concessione, nell’assoluta conformità con la normativa applicabile”. Inoltre il “contraente privato – si legge ancora – non pratica alcuna ‘intermediazione’ per conto dello Stato, ma agisce nel nome e per conto proprio, senza alcun interesse o investimento del museo. La percentuale a favore del museo non è affatto bassa ma al contrario, con il 50% dei ricavi netti è congruamente alta, dato che le quote per l’utilizzo delle immagini solitamente si aggirano tra il 10% e il 25%, a seconda del prodotto e del mercato specifico per cui viene autorizzato l’uso”. “Nei fatti – conclude la nota degli Uffizi -, un’alienazione non c’è stata, e non poteva esserci, perché la legge non lo prevede. E un immaginario accordo che dicesse il contrario semplicemente sarebbe nullo”.