TOSCANA- Duro colpo al cuore degli interessi economici del clan camorristico dei “Casalesi” nella nostra Regione. L’operazione anti-riciclaggio denominata “Minerva” e coordinata dalla dda di Firenze, è scattata all’alba di stamani: i militari del Comando Provinciale di Firenze e dello S.C.I.C.O. di Roma della Guardia di Finanza, hanno dato esecuzione 34 misure cautelari, di cui 4 in carcere, 6 ai domiciliari, 9 obblighi di dimora e 15 misure di interdizione dall’attività economica per altrettante persone, tutte accusate di essere legate al clan. Tra questi anche dei percettori di reddito di cittadinanza. I sequestri effettuati sono stati pari ad un valore di 8,3 milioni di euro.
I plurimi reati contestati sono l’associazione per delinquere, il riciclaggio, l’autoriciclaggio e il reimpiego, l’intestazione fittizia di beni, l’emissione e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, con l’aggravante dell’associazione mafiosa.
Gli indagati avrebbero agito in Toscana sia con società operanti in prevalenza nell’edilizia sia con investimenti nel settore immobiliare le cui attività spaziavano in mezza Italia: dalla Toscana (Firenze, Lucca, Pistoia) all’Emilia (Reggio, Modena, Ferrara, Bologna), da Roma al sud (Isernia e Caserta).
Le società edili riconducibili ai Casalesi erano riuscite ad infiltrarsi anche in importanti cantieri pubblici, all’insaputa delle stazioni appaltanti. Tra i cantieri citati nell’ordinanza del gip di Firenze anche quello per la ristrutturazione del Museo degli Innocenti di Firenze e quello per la realizzazione di un polo didattico universitario a Pisa.
Le indagini hanno tratto origine dallo sviluppo di informazioni afferenti a numerosi investimenti immobiliari e commerciali effettuati nel 2016 nella provincia di Siena da due commercialisti campani, affiancati, tra gli altri, da un architetto fiorentino. Partendo dal flusso dei pagamenti relativi all’esecuzione dei lavori appaltati, le Fiamme gialle hanno scoperto un sistema di false fatturazioni posto a copertura di cospicui e continui bonifici in uscita dalle aziende di costruzione e disposti a vantaggio di società cartiere. I conti correnti di queste ultime, spiega la Gdf, venivano poi svuotati attraverso un’organizzata squadra di ‘bancomattisti prelevatori’, remunerate dal gruppo criminale con circa 50-100 euro a prelievo.
Il sistema creato dal gruppo era fondato su diverse società, ritenute riconducibili agli indagati e formalmente gestite da prestanome, che hanno svolto diversi lavori edili sul territorio nazionale, operando perlopiù in subappalto. Il soldi venivano riciclati con investimenti immobiliari nelle province di Pistoia, Lucca, Modena, Caserta, Isernia e Roma. Alcune delle società coinvolte nel sistema fraudolento hanno anche chiesto e ottenuto contributi a fondo perduto previsti dal decreto Rilancio.
Secondo quanto affermato nella richiesta di misura cautelare redatta dalla Dda e, poi accolta dal gip del tribunale di Firenze, le indagini hanno permesso di individuare “un fenomeno sociale diffuso e radicato, posto in essere a danno dell’Erario” in grado di garantire “facili guadagni illeciti attraverso la distorsione delle regole del mercato e dell’economia”.