FIRENZE – Sarebbe nata a causa di un giuramento di fedeltà preteso da un marito nei riguardi della moglie e filmato con un cellulare, la lite tra cittadini di etnia rom culminata il 19 giugno 2018 nell’inseguimento tra auto nel quale rimase coinvolto il 21enne Duccio Dini, travolto e ucciso da una delle vetture mentre era fermo al semaforo col suo scooter.
È quanto emerso dalla testimonianza resa da Bajram Rufat, destinatario della spedizione punitiva, sentito oggi nel corso del processo per la morte di Dini. Bajram Rufat, costituitosi parte civile nel procedimento e difeso dall’avvocato Lapo Gramigni, ha raccontato di aver preteso dalla moglie, assentatasi da casa per due anni a causa di dissapori con lui, un giuramento di fedeltà, e di averlo filmato col telefono.
” Io – ha detto l’uomo rispondendo alle domande del pm Tommaso Coletta – sono il comandante di mia moglie”. Il gesto di aver registrato il giuramento, ha raccontato sempre Bajram Rufat, avrebbe irritato il padre e i fratelli della donna, che per questo l’avrebbero riportata nella loro casa, a Firenze nel campo nomadi del Poderaccio, e poi mandata da alcuni parenti in Belgio.
Successivamente, due giorni prima che avvenisse l’inseguimento, Bajram Rufat avrebbe colpito e fatto cadere a terra il suocero, Remzi Mustafa, all’interno del campo nomadi, dopo che lui ancora irritato per la registrazione del giuramento aveva cercato di colpirlo con un pugno al volto. Il gesto di Bajram Rufat avrebbe indotto il suocero e i familiari a organizzare la spedizione punitiva.
Gli imputati nel processo per la morte di Duccio Dini sono sette, tra cui Remzi Mustafa e il figlio Antonio Mustafa, tutti accusati di omicidio volontario con dopo eventuale.
Nel corso dell’udienza odierna, la corte ha deciso con ordinanza di non ammettere la costituzione di parte civile nel processo della associazione Diccio Dini onlus, creata dagli amici del giovane: non si può qualificare come parte offesa, ha spiegato la corte, un ente costituito dopo il fatto costituente il reato.