FIRENZE – E’ “ascrivibile a condotte gestionali abnormi ed irregolari, riconducibili al management” della banca “e non certo attribuibili a chi era intervenuto per porre fine e rimedio alle stesse lo stato di insolvenza in cui finì l’ex Credito cooperativo fiorentino, per 20 anni presieduto dal senatore Denis Verdini, fino al suo commissariamento nel luglio 2010.
Lo scrivono, nelle motivazioni della sentenza, i giudici del tribunale di Firenze che il 2 marzo scorso hanno condannato Verdini a 9 anni di reclusione e altri 33 imputati con pene da 1 anno e 6 mesi a sei anni. Una risposta alle difese di alcuni imputati, in particolare del senatore di Ala, che avevano puntato il dito contro i commissari e la loro gestione. Il senatore di Ala, Denis Verdini nel corso del processo davanti ai giudici fiorentini (era accusato, tra l’altro di bancarotta fraudolenta e truffa ai danni dello Stato per i finanziamenti all’editoria), come la maggioranza degli altri imputati, non ha preso “le distanze da quei fatti”, ed anzi – si legge nella sentenza – in alcuni casi, si è assistito ad un tentativo “di delegittimazione” dei Commissari straordinari, e anche “degli ispettori di Banca d’Italia”. Verdini, segnalano ancora i giudici, “ha rivendicato con orgoglio e tenacia la correttezza della sua gestione, sostenendo che al più vi saranno stati degli errori”, contestando l’operato dei commissari “ed esponendo alcune severe critiche al lavoro degli ispettori di Banca d’Italia”.
“Il danno è stato enorme”. Per quanto riguarda il Btp (di Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei), per i giudici “un gruppo”, il tentativo di ristrutturare il debito fu “un’operazione davvero assurda”.