FIRENZE – “Aveva paura. Vedeva minacciate la salvaguardia del suo onore e la sua dignità di prete” dallo scandalo che avrebbe potuto provocare la scoperta di una relazione con una parrocchiana.
Sarebbe stato così un “atto istintivo” quello che ha spinto padre Gratien Alabi ad uccidere Guerrina Piscaglia, la 50enne con cui aveva una relazione e che è scomparsa da casa il 1° maggio del 2014 (il suo corpo non è masi stato ritrovato).
A scriverlo nero su bianco sono i giudici della Corte d’appello nella motivazione della sentenza che il 24 ottobre 2016 ha condannato il frate congolese a 27 anni per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Ad anticipare degli stralci delle 224 vergate dai magistrati è oggi il quotidiano il Corriere di Arezzo.
Il quadro accusatorio, si legge, è composto da indizi “gravi, precisi e concordanti”. Sei i punti fondamentali sui quali si basa l’impianto accusatorio del pm Marco Dioni: l’alto numero di chiamate tra i due prima deella mattina della scomparsa della donna e la caduta verticale nei giorni succesivi, ma anche gli sms mandati dal cellulare di Guerrina dopo la sua sparizione.
In più, il depistaggio messo in atto dal frate, che prima gha raccontato che la donna si sarebbe allontanata con un ambulante marocchino, o l’invenzione della figura del fantomatico zio Francesco che conferma il modus vivendi del religioso “incline alla bugia”.
Adesso la difesa, rappresentata dai legali Riziero Angeletti e Francesco Zacheo, ha 45 giorni di tempo per presentare appello. Padre Gratien si trova attualmente nel convento romano dei padri Premostratensi dove celebra messa e fa intensa vita di comunità. Non ha mai smesso di proclamarsi innocente.