PRATO – Costretti a lavorare in ciabatte anche a gennaio o vessati con punizioni corporali, pagati 4 euro all’ora per lavorare anche 12 ore nelle vigne del Chianti: così centinaia di immigrati, soprattutto profughi appena giunti dal Pakistan e da dall’Africa sub sahariana, venivano sfruttati e sottopagati per lavorare in 5 aziende vitivinicole tramite un sistema di caporalato che attingeva tra gli ospiti nei centri di accoglienza a Prato.
Il giro di sfruttamento è stato portato alla luce dalla procura di Prato, dove stamattina sono state eseguite decine di perquisizioni nei centri accoglienza con gli uomini della Digos, della Forestale e della Guardia di Finanza. Attualmente 12 persone sono indagate per associazione per delinquere (o per concorso esterno) finalizzata allo sfruttamento di lavoratori stranieri irregolari: tra loro anche anche 3 professionisti di Prato, commercialisti e consulenti del lavoro.
A reclutare i profughi, secondo quanto ricostruito dalle indagini coordinate dal sostituto procuratore a Prato Antonio Sangermano, sarebbe stato un pakistano, Tarik Sikander, assieme alla moglie. Gli immigrati venivano caricati ogni mattina all’alba su un furgone a Prato, in via Marx, come testimoniato dalle videoripresenei campi dove gli immigrati lavoravano e controlli sui camion disposte dagli inquirenti: le stesse riprese che hanno documentato le minacce, violenze ed intimidazioni da parte dei caporali pakistani nei confronti dei lavoratori di origine africana, apostrofati e offesi con il ricorrente appellativo di “negri”.
Determinante per far partire l’inchiesta, nel settembre 2015, la Fondazione Opera Santa Rita di Prato, i cui operatori si sono accorti del giro di sfruttamento – alcuni giorni a maensa amancavano fino a 40 persone contemporaneamente – e hanno convinto alcuni profughi richiedenti asilo ospitati nella ex scuola Santa Caterina a fare denuncia contro i loro sfruttatori.
Sikander aveva 115 persone assunte da una sua ditta e 50 persone assunte in una della moglie. Secondo gli investigatori tuttavia si tratterebbe di società fittizie, funzionali solo a fornire uno status di lavoratore ai profughi che – nei primi sessanta giorni sul territorio nazionale – non possono per legge essere titolari di contratti di lavoro. Il pakistano avrebbe quindi tratto il suo guadagno dalla cifra che le aziende vitivinicole, che sarebbero state ignare del ‘giro’, versavano per le paghe assegnate con valori stabiliti dai sindacati.
“Il caporalato – ha detto il presidente della Toscana Enrico Rossi – è un problema che va affrontato richiamando anche alle loro responsabilità gli imprenditori agricoli che consapevolmente ne usufruiscono, ad esempio penalizzandoli nell’erogazione dei contributi comunitari”.