FIRENZE –Il 96% dei ricercatori non strutturati si sente molto ricattabile a causa della propria condizione lavorativa precaria, e per lo stesso motivo il 93% dichiara di non riuscire a progettare il proprio futuro. Oltre il 75% dichiara che una quota rilevante del proprio lavoro non è restributa e che pensa “spesso” di cambiare lavoro.
E’ la desolante condizione fotografata dai dati, parziali ma significativi, della ricognizione tra 1.200 ricercatori in tutta Italia, afferenti alle più diverse discipline (dalle scienze sociali a quelle umanistiche, a quelle tecnico-scientifiche) svolta tramite questionario dal Coordinamento delle ricercatrici e dei ricercatori e non strutturat*, e presentata a Firenze in occasione della 7/a Assemblea Nazionale.
Una componente essenziale per il funzionamento del sistema universitario italiano, quella dell’universo del precariato universitario: dottorandi, borsisti e assegnisti di ricerca, ma anche collaboratori a progetto o i ricercatori “a tempo determinato” nati con la riforma Gelmini. In base a quanto emerge dalla ricerca, hanno un’età media che supera i 35 anni, e solo nel 2015 hanno lavorato mediamente 55 ore a settimana impegnati in attività di ricerca e laboratorio, di docenza nei corsi universitari, a sostegno degli studenti in tesi o nelle commissioni d’esame. Eppure per lo Stato italiano sono “lavoratori in formazione”, che non hanno diritto neppure all’indennità di disoccupazione.
L’appuntamento servirà a fare il punto anche sulla mobilitazione da mesi in atto per ottenere dal governo il diritto di poter usufruire della “dis-coll”, ovvero l’indennità già riconosciuta dalle norme attuali dai collaboratori occasionali, ad eccezione però proprio il mondo della ricerca negli atenei. “Basterebbe una circolare dell’Inps per risolvere la questione, e le risorse necessarie sono minime – spiega Barbara Saracino, tra i rappresentanti del Coordinamento – ma per il governo e il Ministro Poletti non è possibile perché siamo ‘lavoratori in formazione’ , in barba quanto sancito nella Carta Europea dei Ricercatori”.
Ascolta l’intervista a Barbara Saracino del Coordinamento delle ricercatrici e dei ricercatori e non strutturat*
Quello dell”indennità di disoccupazione in realtà è solo uno degli aspetti minori di una questione ben più grande: il riconoscimento delle dignità e del ruolo dei ricercatori non strutturati e un nuovo inquadramento giuridico: in questa prospettiva si inseriscono le rivendicazioni del Coordinamento per maggiori fondi alla ricerca, nuove assunzioni di ricercatori di tipo A (quelli che possono aspirare a diventare strutturati), per la modifica delle norme sulla VQR (la valutazione della qualità della ricerca) e a sostegno del cosiddetto “ddl Pagliari”, per estendere anche agli assegnisti di ricerca la possibilità di partecipare ai concorsi.
Per dare forza alla mobilitazione il Coordinamento lancerà l’iniziativa dello “sciopero alla rovescia“, rispolverando un concetto caro a Danilo Dolci: tutti gli aderenti si recheranno nei luoghi di lavoro, come tutti i giorni, ma indossando una maglietta rossa con la scritta ‘#ricercaprecaria’, che è anche il nome della campagna sui social. Chi invece volesse solidarizzare con la loro battaglia, potrà indossare una maglietta arancione.
Un modo per dare visibilità, con immediatezza e semplicità, al lavoro difficile e “nascosto” svolto tutti i giorni nei laboratori e nelle aule universitarie. Tutt’altro che residuale dell’università: i 1.200 ricercatori intervistati solo nel 2015 hanno lavorato 63.000 ore, mentre se si contano le durate di contratti, borse e assegni di ricerca si totalizzano oltre 2.900 anni di lavoro. Precario, ovviamente.