FIRENZE – I resti di Rosario Orefice vennero trovati a quasi 4 anni dalla sua scomparsa, datata aprile del 2010, parzialmente sciolti nell’acido ed in avanzato stato di decomposizione: si trovavano all’interno di un bidone, in un’intercapedine del tetto di un capannone, nei pressi di Casalguidi, di proprietà della ditta intestata allo stesso Rosario e al fratello Luigi.
Per quest’ultimo poco dopo scattò l’accusa di omicidio, che oggi la corte d’assise di Firenze, presidieduta da Ettore Nicotra, ha condannato all’ergastolo, escludendo però l’aggravante della premeditazione. Il condannato non subirà perciò l’arresto e potrà presenziare ai prossimi gradi di giudizio in stato di libertà.
Il ritrovamento dei resti avvenne per caso, nel marzo dell’anno scorso, da parte di due eletricisti al lavoro nel capannone, che portarono alla luce il bidone: era celato a due metri di altezza tra due canne fumari, invisibile all’esterno. Il bidone venne trovato durante lavori di manutenzione e fu avvertita la polizia.l movente dell’omicidio sarebbe di natura economica e frequenti sarebbero stati i litigi tra i due fratelli.